Pagamento degli stipendi: divieto di utilizzo del contante dal 1° luglio

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L’art. 1, comma 910, della Legge n. 205 del 27 dicembre 2017 (Legge di Bilancio 2018), dal 1° luglio 2018, ha disposto l’obbligo di tracciabilità del pagamento degli stipendi. I datori di lavoro non potranno più corrispondere le retribuzioni ai loro dipendenti mediante l’utilizzo del denaro contante, con deroga per alcune categorie di rapporti di lavoro, ma è consentito esclusivamente l’utilizzo di strumenti di pagamento tracciabili. Nel caso di violazioni del predetto obbligo, ovvero, nonostante l’utilizzo dei sistemi di pagamento consentiti, il versamento delle somme effettivamente dovute non sia stato realmente corrisposto, per il datore di lavoro o committente sono previste pesanti sanzioni.

Nella scheda che segue riepiloghiamo la nuova normativa ed i più rilevanti chiarimenti forniti dai documenti di prassi.

 

Gli abusi sui pagamenti degli stipendi e i rischi per il datore di lavoro

L’art. 1, commi 910-914, della Legge n. 205 del 27 dicembre 2017 (Legge di Bilancio 2018), sancisce nuove disposizioni antielusive per combattere le eventuali difformità che potrebbero esistere tra l’importo delle retribuzioni indicato in busta paga e le somme effettivamente erogate dal datore di lavoro al dipendente.

Gli abusi esercitati sui pagamenti degli stipendi dai datori di lavoro possono causare, in capo agli stessi pesanti ripercussioni penali. Infatti, recentemente la Cassazione, Sezione 2 penale, con la sentenza n. 25979 del 7 giugno 2018, ha affermato che: “integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate”.

Nel caso in oggetto, il datore di lavoro non corrispondeva ai dipendenti gli anticipi che venivano versati solo formalmente in contanti, le quattordicesime mensilità, il corrispettivo dei permessi non goduti, con lo scopo di utilizzare tali fondi illeciti per pagare provvigioni o altri benefit aziendali in nero a favore dei venditori della società. In tal modo, si verificava la reimmissione dei fondi illeciti nel circuito aziendale, dando origine a una fattispecie elusiva dell’identificazione della provenienza delittuosa della provvista. Il datore di lavoro, quindi, oltre a non corrispondere al dipendente quanto indicato in busta paga, ed effettivamente spettante, utilizzava le retribuzioni estorte al lavoratore per autofinanziare la sua attività imprenditoriale. Conseguentemente a tale pratica illecita, il datore di lavoro è stato accusato di estorsione e autoriciclaggio.

Il legislatore, per contrastare tali pratiche illecite sempre più frequenti, ha disposto dal 1° luglio 2018 il divieto di pagamento in contanti delle retribuzioni e, pertanto, la corresponsione dello stipendio, compresi eventuali anticipi, dovrà avvenire solo mediante strumenti di pagamento tracciabili ben definiti dalla normativa stessa.

 

I rapporti di lavoro interessati e le modalità di pagamento consentite

Le tipologie di rapporti di lavoro interessati dalle disposizioni sancite dall’art. 1, comma 910, della Legge di Bilancio 2018 sono:

  • i rapporti di lavoro subordinato, di cui all’art. 2094 c.c., indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto;
  • i rapporti originati da contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
  • i rapporti derivanti da contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci, ai sensi della Legge n. 142 del 3 aprile 2001.

Sono esclusi dall’obbligo di pagamento tracciato delle retribuzioni, così come previsto espressamente dal comma 913:

  • i rapporti instaurati con le pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165;
  • i rapporti riguardanti il lavoro domestico disciplinati dalla Legge 2 aprile 1958, n. 339, e quelli rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Il legislatore ha disposto che i datori di lavoro, o i committenti, dovranno corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi di pagamento:

  • bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
  • strumenti di pagamento elettronico;
  • pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
  • emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.

Il comma 910 chiarisce che l’impedimento sopra citato si intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento sia il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché sia di età non inferiore a sedici anni.

Nel caso in cui il datore di lavoro, o il committente, violi l’obbligo di pagamento tracciato delle retribuzioni, verrà applicata la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000,00 euro a 5.000,00 euro.

 

Il parere dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro

Conseguentemente alle disposizioni sancite dalla Legge di Bilancio 2018 in merito al pagamento degli stipendi, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha pubblicato la Nota n. 4538 del 22 maggio 2018, analizzando ulteriori casistiche in cui le violazioni dell’obbligo di tracciabilità risultino comprovate. Pertanto, la violazione in oggetto risulta integrata:

  • nel caso in cui la corresponsione delle somme avvenga con modalità diverse da quelle indicate dal legislatore;
  • quando, nonostante l’utilizzo dei sistemi di pagamento consentiti, il versamento delle somme dovute non sia realmente effettuato; quindi, ad esempio, nel caso in cui il bonifico bancario a favore del lavoratore venga successivamente revocato, ovvero l’assegno emesso venga annullato prima dell’incasso. L’Ispettorato è del parere che tali circostanze abbiano uno scopo elusivo e siano attuate dal datore di lavoro per aggirare la norma.

Tale parere è avvalorato dalla precisazione indicata al comma 912 della Legge di Bilancio 2018, laddove viene chiarito che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce la prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.

Viste tali disposizioni, il datore di lavoro, o il committente, non solo dovrà effettuare i pagamenti secondo le modalità indicate dal legislatore, ma sarà tenuto anche verificare che gli stessi siano andati a buon fine; in caso contrario, il trasgressore potrà essere oggetto di contestazioni ed è punibile secondo le disposizioni di cui alla Legge 24 novembre 1981, n. 689 e al D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, ad eccezione del potere di diffida di cui al comma 2 dell’art. 13 del D.Lgs. sopra citato, trattandosi di un illecito non materialmente sanabile.

Riferimenti normativi:

  • Art. 2094 c.c.
  • Legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, commi 910-914
  • D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124
  • Legge 3 aprile 2001, n. 142
  • D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2 art. 1, comma 2
  • Legge 24 novembre 1981, n. 689
  • Legge 2 aprile 1958, n. 339
  • Ispettorato Nazionale del Lavoro, Nota 22 maggio 2018, n. 4538
  • Corte di Cassazione Penale, Sentenza 7 giugno 2018, n. 25979

 

 

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