Accertamento da redditometro

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Accertamento da redditometro: condizioni di applicabilità ed orientamenti giurisprudenziali

L’accertamento da redditometro, disciplinato dall’art. 38, commi dal quarto al settimo, del D.P.R. n. 600/1973, costituisce una metodologia del tutto particolare di accertamento, perché consente all’Amministrazione finanziaria di determinare in maniera induttiva il reddito complessivo del contribuente, focalizzando la propria attenzione non sulle fonti di eventuali redditi non dichiarati, quanto piuttosto sulla capacità di spesa del contribuente sottoposto a controllo, partendo dal presupposto che ad ogni flusso economico in uscita debba corrisponderne uno in entrata, la cui irrilevanza reddituale dovrà essere poi dimostrata dal contribuente.

Nel seguito si riporta una breve analisi di tale metodo accertativo e delle possibili strategie difensive del contribuente.

 

L’accertamento da redditometro

Il redditometro è uno strumento di accertamento sintetico, che risale al reddito analizzando le manifestazioni di capacità contributiva, applicabile nei confronti di ogni contribuente persona fisica. Su quest’ultimo grava l’onere di dimostrare che la disponibilità di beni e servizi è compatibile con le proprie risorse finanziarie che possono derivare o dall’attività svolta (utile al riguardo il volume d’affari realizzato al netto dei costi sostenuti) o da altri fonti legittime come, ad esempio, il risparmio, o ancora i prestiti, i finanziamenti, le vincite, ecc.

Si ipotizzi un soggetto che possiede 3 appartamenti (prima casa, casa al mare e casa in montagna), due autovetture, di cui una di lusso, una imbarcazione e ha figli iscritti a università private con relative locazioni per studenti fuori sede, con dichiarazione di 25.000 euro annui. È anzitutto pacifico che tale dichiarazione sia “stridente” sul piano reddituale, ed è altrettanto pacifico che in simili circostanze il minimo comportamento che deve derivare è una convocazione da parte dell’Amministrazione finanziaria per chiedere idonee spiegazioni.

A fronte di tale premessa, il redditometro sembra essere un accertamento equo, basato sul seguente principio: se un contribuente con basso reddito manifesta rilevanti disponibilità patrimoniali o finanziarie, è giusto che l’Amministrazione finanziaria chieda il conto di tale “disallineamento”, che non appare a prima vista logico. Tuttavia, nulla vieta che il contribuente possa legittimamente disporre di adeguate risorse accumulate negli anni, ma sarà suo l’onere di illustrare detta disponibilità nell’arco temporale oggetto di accertamento; ciò in quanto sussiste l’evidente discrasia tra l’ammontare delle spese ed il reddito, atteso che le prime possono derivare anche da altre fonti finanziarie.

 

La riconciliazione tra redditi e spese

Il redditometro si fonda sulla somma delle spese sostenute dal contribuente; tuttavia dette spese non necessariamente sono affrontate mediante i redditi dichiarati o sono riconducibili agli stessi. Tornando al contribuente del nostro esempio iniziale, se lo stesso ha rilevanti risorse accumulate nel tempo o appartiene ad una famiglia benestante, ricevendo donazioni e rendite di vario genere, nulla vieta che possa avere uno stile di vita elevato, a prescindere dal basso reddito dichiarato.

Lo stesso accade se il contribuente possiede redditi determinati con modalità particolari, come nel caso dei contribuenti forfetari, laddove è chiaro che le risorse finanziarie esistenti (sia in quanto derivanti dall’attività svolta, sia in forza di risparmi accumulati nel tempo o ancora di altre risorse, come prestiti, interventi dei familiari, rateazioni, ecc,) sono ben diverse dai redditi dichiarati.

In definitiva, le spese non necessariamente possono/devono essere sostenute mediante il reddito, così come il reddito non necessariamente è equivalente alle disponibilità finanziarie. Si pensi, ad esempio, alle spese sostenute mediante mutui, leasing e finanziamenti: dette spese non determinano immediate uscite finanziarie e dunque devono essere abbinate al potenziale reddito con estrema attenzione. Allo stesso tempo, il reddito potrebbe essere forfetario, determinato in misura percentuale (dividendi) o ancora figurativo (si pensi all’incidenza degli ammortamenti o delle agevolazioni di vario genere).

 

La procedura da seguire

Sul piano procedurale è opportuno ricordare che:

  • le segnalazioni che conducono alla selezione del contribuente (spese per beni e servizi o comunque incrementi patrimoniali) consentono all’Amministrazione finanziaria di richiedere al contribuente chiarimenti in merito e di dimostrare le occorrenze economiche utilizzate;
  • tale richiesta deve transitare obbligatoriamente per la fase del contraddittorio preventivo;
  • in sede di contraddittorio, il contribuente può validamente difendersi, producendo proprie memorie e documentazione, illustrando tutte le fonti reddituali utilizzate o di cui ha avuto disponibilità. Sul tema si sottolinea l’importanza della linea difensiva del contribuente, posto che, nel percorso endoprocedimentale di formazione dell’accertamento, la presenza di memorie difensive obbliga l’Ufficio, nella motivazione dell’atto che intende emettere, a spiegare le ragioni che hanno condotto al mancato accoglimento delle giustificazioni di parte;
  • il contribuente può anche decidere di non partecipare al contraddittorio. In tale caso è ovvio che l’avviso di accertamento può essere emesso sulla base dei parametri disponibili per l’Amministrazione finanziaria, mentre al contribuente resta l’onere di illustrare al giudice le sue motivazioni difensive;
  • sarà infine il giudice a valutare il soddisfacimento dei rispettivi oneri probatori e la sussistenza o meno dei presupposti accertativi.

Pertanto, compito del contribuente “attaccato” mediante redditometro è di illustrare le risorse finanziarie utilizzate per il pagamento dei beni e servizi di cui dispone, nonché per gli incrementi patrimoniali conseguiti. In alternativa, è fondamentale dimostrare quali risorse erano disponibili, utilizzando il principio del cd. nesso eziologico, ossia illustrando la disponibilità temporale e continuata di risorse utili per il sostenimento delle spese contestate.

 

Il “nesso eziologico”

La giurisprudenza di legittimità ha più volte rimarcato l’importanza del cd. “nesso eziologico”, ossia il collegamento esistente tra le risorse disponibili del contribuente e le spese dallo stesso sostenute per i servizi acquistati e gli incrementi patrimoniali realizzati, così come i chiarimenti di prassi emanati nel corso degli anni hanno evidenziato la necessità di appurare le reali risorse dei contribuenti. Tali principi sono validi sia a favore del contribuente in termini difensivi, sia a favore dell’Amministrazione finanziaria per avvalorare la tesi accertativa.

Se si contesta un incremento patrimoniale pagato nel mese di aprile, non è possibile giustificare lo stesso con un decremento patrimoniale incassato nel successivo mese di luglio, pur se le disponibilità finanziarie si sono conclamate nello stesso periodo d’imposta. È invece valido il ragionamento opposto, dimostrando la disponibilità continuata nel tempo degli importi introitati: in pratica, una dismissione patrimoniale di 150.000 euro nel mese di aprile è atta a giustificare un nuovo acquisto di 150.000 euro nel mese di luglio.

Il concetto in questione non richiede la giustificazione puntuale delle spese evidenziate nel redditometro, ma la dimostrazione delle complessive disponibilità finanziarie, tali da consentire le spese.

 

L’orientamento della Cassazione

In primo luogo con l’ord. 9 maggio 2017, n. 11388, i giudici hanno affermato che il contribuente può sempre dimostrare attraverso idonea documentazione che il maggior reddito determinato attraverso accertamento sintetico è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso dell’Agenzia delle entrate, ha dunque ribadito il proprio consolidato orientamento in merito (Cass. 26 gennaio 2016, n. 1455), secondo il quale, tra l’altro, la prova documentale dell’entità di tali ulteriori redditi e della “durata” del loro possesso è finalizzata a riferire senza dubbio ad essi la maggiore capacità contributiva accertata sinteticamente. Con la sent. 5 maggio 2017, n. 11082 , invece, i giudici hanno stabilito la nullità dell’accertamento con redditometro quando gli acquisti vengono fatti a seguito della contrazione di un mutuo. Le sent. 28 febbraio 2017, n. 5167, e sent. 3 marzo 2017, n. 5419 , affrontano il caso dell’intervento di terzi soggetti nel sostenimento della spesa del contribuente. Si pensi ai mutui piuttosto che agli acquisti mediante leasing; inoltre, frequente è l’intervento dei genitori, i quali o acquistano direttamente il bene o provvedono ai relativi pagamenti rateali. Ebbene, anche in queste vicende risulta evidente che il soggetto intestatario dei beni, o che, almeno da un punto di vista formale risulta pagarli, in realtà non possiede le risorse finanziarie che l’accertamento redditometrico permette di ricostruire. Ne consegue che lo stesso accertamento deve essere ridimensionato, dovendosi prendere in considerazione quanto asserito in linea difensiva dal contribuente ed eventualmente indagare solo in ordine alla verifica che coloro che sono intervenuti realmente erano in grado, economicamente, di sostenere l’intervento.

In sintesi, di fronte all’invocazione dell’intervento di un soggetto terzo, il Fisco potrà solo verificare che tale soggetto sia realmente “affidabile”, ossia sia in grado di sostenere l’esborso finanziario e allo stesso tempo abbia risorse legittime e frutto di redditi tassati o di risparmi legittimamente accumulati nel tempo.

Proprio la sent. n. 5167 del 2017 si esprime in questi termini, in quanto ritiene soddisfacente la prova difensiva sia perché è stato dimostrato l’intervento del genitore (nella sentenza si legge infatti “parimenti infondata è la censura con la quale si denunzia l’errore della CTR per avere ritenuto che l’Ufficio avrebbe confermato la presenza di bonifici bancari, provenienti dal conto corrente “di famiglia”, destinati al pagamento delle rate di mutuo. Invero, le allegazioni difensive dell’Agenzia delle entrate, con le quali si contesta la circostanza, non contrastano con la ricostruzione operata dalla sentenza impugnata la quale si è limitata a dare atto che “nel passato” i genitori del contribuente avevano provveduto al pagamento delle rate di mutuo attraverso bonifici bancari, e precisato che in altre occasioni, “compresa l’annualità in oggetto” il pagamento era stato effettuato in contanti”, sia in quanto sono state giustificate anche le risorse che il genitore utilizzava nella circostanza, provenienti da un avvenuto scudo fiscale da parte sua. Ad analoghe conclusioni giunge la sent. n. 5419 del 2017 , che richiama l’attenzione sulla necessità di verificare che i presunti interventi riconducibili ai genitori siano compatibili con i redditi nella disponibilità degli stessi (… “con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 738, secondo comma, c.c. censurandosi la decisione per avere ritenuto, in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità, le donazioni ricevute dai genitori, non di modico valore. Si evidenzia che nei gradi di merito era stata prodotta ampia documentazione attestante non solo le condizioni economiche della contribuente, ma anche il fatto che la famiglia G.R. era dotata, all’epoca dei fatti, di importanti risorse finanziarie come comprovato dalle dichiarazioni dei redditi dei genitori della contribuente riferite agli anni oggetto di accertamento. La adeguata considerazione delle condizioni economiche dei genitori avrebbe dovuto indurre a configurare gli atti di liberalità di questi come donazioni di modico valore”). Infine la sent. 22 marzo 2017, n. 7258, attraverso la quale i giudici hanno stabilito che il bonifico del fidanzato con la causale «sussidi e regalie» è sufficiente a fare annullare l’accertamento basato sul redditometro in caso di sproporzione fra il dichiarato e l’immobile acquistato.

 

Conclusioni

Le sentenze dinanzi richiamate confermano il costante orientamento della Corte di cassazione: l’esigenza di un riscontro con richiesta di spiegazioni difensive al contribuente è ormai pacifica e la giurisprudenza di legittimità non pone limiti in tale direzione. In tal senso, la sent. 16 maggio 2014, n. 10747, secondo cui “Il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’Ufficio, può soltanto valutare se il contribuente offra prova in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati nella norma”. Ciò significa, ad esempio, che, se il contribuente in questione ha segnalazioni varie di spese sostenute nel periodo d’imposta per 190.000 euro (si pensi ad acquisto di autovetture, pagamenti di mutui, leasing, assicurazioni, ecc.), la dimostrazione che il totale fatturato attivo, al netto di quello passivo, è tale da soddisfare le uscite finanziarie di cui si discute (si immagini un ammontare netto di fatturato pari a 280.000 euro), consente di evitare l’accertamento.

Concludendo, sono utili tutte le prove documentali che dimostrano le capacità economiche e finanziarie del contribuente, quali finanziamenti ricevuti, prestiti, disinvestimenti mobiliari, donazioni, successioni, vincite e possesso di ulteriori redditi non tassati (anche parzialmente). In questo si sostanzia, sul piano difensivo, la discrasia tra spese (sostenute con le disponibilità finanziarie) e reddito. Al contribuente spetta l’onere di dimostrare le reali risorse finanziarie utili a consentire il sostenimento delle spese di cui si discute: in simili circostanze, l’accertamento redditometrico non avrà seguito.

 

Riferimenti normativi:
(1) D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38.

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